Il multitasking ci rovina (davvero) il cervello

I cantori delle meraviglie del multitasking sono avvisati: l’epopea del fare tutto e possibilmente in contemporanea non è cosi mitica come si crede. Non lo è almeno per il nostro cervello. Non è la prima volta che gli studi scientifici si occupano — e si preoccupano — degli effetti collaterali del sovraccarico di stimoli e di richieste sulla nostra “centrale di controllo”. Adesso lo ribadisce il neuroscienziato Daniel J. Levitin , direttore del Laboratory for Music, Cognition and Expertise alla McGill University e autore del libro “The Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload.” (“La mente organizzata: restare lucidi nell’era dell’eccesso di informazione”, ndr) in un articolo pubblicato sulle pagine scientifiche del quotidiano britannico The Guardian: il multitasking ci rende meno efficienti e comporta un vero e proprio esaurimento delle funzioni cerebrali. «Stiamo facendo i lavori di 10 persone diverse, cercando anche di tenere il passo con la nostra vita, i nostri figli e genitori, i nostri amici, le nostre carriere, i nostri hobby, e le nostre programmi televisivi preferiti», scrive Levitin.

È ormai esperienza quotidiana:non c’è momento della nostra giornata in cui non “messaggiamo”, leggiamo la posta, “chattiamo” sulle varie piattaforme messe a disposizione dalla tecnologia. «Ma c’è un unico neo — ci spiega il professor Levitin— . Anche se pensiamo di fare diverse cose contemporaneamente, questa è una illusione potente e diabolica. Earl Miller, un neuroscienziato del MIT e uno dei massimi esperti mondiali di attenzione divisa, dice che il nostro cervello “non è cablato bene per il multitasking … Quando la gente pensa di fare multitasking, in realtà sta solo passando da un compito a un altro molto rapidamente . E ogni volta che lo fa, c’è un costo cognitivo». Quindi non stiamo in realtà tenendo un sacco di palle in aria come un giocoliere esperto, assomigliamo piuttosto a un dilettante scarso che fa girare i piatti, passando freneticamente da un compito all’altro, ignorando quello che non è proprio davanti a noi, ma preoccupati che crollerà da un momento all’altro. Anche se pensiamo che stiamo facendo un sacco di cose, ironia della sorte, il multitasking ci rende palesemente meno efficienti».

I meccanismi innescati dall’attività frenetica giocata su più “tavoli” sono stati ampiamente studiati .« Si è visto che il multitasking aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e di adrenalina, l’ormone del “lotta o scappa”, che può stimolare eccessivamente il cervello e causare annebbiamento o pensieri disturbati — racconta Levitin —. Il multitasking crea un circolo vizioso di dipendenza dalla dopamina, premiando effettivamente il cervello a perdere la concentrazione e a cercare stimoli esterni. A peggiorare le cose, la corteccia prefrontale ha una “distorsione da gadget”, il che significa che la sua attenzione può essere facilmente distratta da qualcosa di nuovo – gli oggetti luccicanti proverbiali che usiamo per invogliare i bambini, cuccioli e gattini. L’ironia qui per quelli di noi che stanno cercando di mettere a fuoco tra le attività in concorrenza è chiaro: la regione del cervello di cui abbiamo molto bisogno di fare affidamento per rimanere concentrati sul compito è facilmente disturbata. Rispondere al telefono, cercare qualcosa su internet, controllare la posta, inviare un Sms: e ognuna di queste cose modifica i centri del cervello deputati alla ricerca della novità e della ricompensa, provocando uno scoppio di oppioidi endogeni tutto a scapito della nostra concentrazione sul compito da svolgere».

Secondo l’autore , anche la semplice opportunità di fare più cose contemporaneamente è dannosa per le prestazioni cognitive. «Glenn Wilson, ex docente a contratto di psicologia presso Gresham College di Londra, lo chiama info-mania . La sua ricerca — scrive Levitin — ha scoperto che trovarsi in una situazione in cui si sta cercando di concentrarsi su un compito e si ha una e-mail non letta nella posta in arrivo, può ridurre il QI (Quoziente Intellettivo) effettivo di 10 punti. E anche se le persone attribuiscono molti benefici per la marijuana, tra cui una maggiore creatività e riduzione del dolore e lo stress, è ben documentato che il suo ingrediente principale, il cannabinolo, attiva i recettori cannabinolici dedicati nel cervello e interferisce profondamente con la memoria e con la nostra capacità di concentrarsi su diverse cose contemporaneamente. Wilson ha mostrato che le perdite cognitive da multitasking sono ancora superiori alle perdite cognitive dei fumatori di cannabis».

Levitin cita poi Russ Poldrack, neuroscienziato a Stanford, secondo il quale nel processo di apprendimento mentre si fa multitasking le nuove informazioni sono dirette verso la parte sbagliata del cervello. «Se ad esempio gli studenti studiano e guardano la TV allo stesso tempo — racconta Levitin —, le informazioni acquisite dai loro compiti si indirizzano al corpo striato, una regione specializzata nella memorizzazione di nuove procedure e competenze, non di fatti e idee. Senza la distrazione della TV,invece, le informazioni raggiungono l’ippocampo, dove vengono organizzate e classificate in una varietà di modi, rendendo più facile recuperarle. Earl Miller del Massachusetts Institute of Technology aggiunge, «La gente non può fare multitasking molto bene, e quando dice che possono, stanno illudendo se stessi. E si scopre che il cervello è molto bravo in questo business dell’illusione» .

Poi ci sono i costi metabolici . Chiedere al cervello di spostare l’attenzione da un’attività all’altra costringe la corteccia prefrontale e il corpo striato a bruciare il glucosio ossigenato, lo stesso combustibile du cui hanno bisogno per restare concentrati sui compiti . «E il tipo di spostamento rapido e continuo che operiamo con il multitasking — spiega Levitin —fa sì che il cervello bruci il combustibile così rapidamente che ci sentiamo esausti e disorientati dopo anche per breve tempo. Abbiamo letteralmente impoverito i nutrienti nel nostro cervello. Questo porta a compromessi in termini di prestazioni cognitive e fisiche. Tra le altre cose, il cambiamento ripetuto dei compito porta ad ansia, che aumenta i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress nel cervello, che a sua volta può portare a un comportamento aggressivo e impulsivo. Al contrario, la concentrazione sul compito è controllata dal cingolo anteriore e dal corpo striato, e una volta che attiviamo la modalità esecutiva centrale, rimanere in quello stato comporta un minore utilizzo di energia rispetto al multitasking e di fatto riduce la necessità di glucosio per il cervello». Uno studio del 2013 condotto dalla Michigan State University aveva già messo in guardia sulla possibile associazione del multitasking digitale ad ansia e depressione, senza però chiarire se sia il disagio psicologico a portarci a cercare distrazione nel sovraccarico digitale o siano tablet e cellulari a provocare il malessere.

C’è poi il problema delle decisioni da prendere che nel multitasking viene amplificato a dismisura causando una specie di corto circuito. «Questa incertezza — afferma Levitin— manda in tilt il nostro rapido sistema di categorizzazione percettiva, è causa di stress, e porta al sovraccarico di decisione. Si scopre che il processo decisionale ha un impatto anche sulle risorse neurali e che le piccole decisioni sembrano prendere tanta energia quanto quelle grandi . Una delle prime cose che perdiamo è il controllo degli impulsi. Si innesca rapidamente uno stato di impoverimento in cui, dopo aver preso un sacco di decisioni senza senso, rischiamo di finire con il decidere davvero male su qualcosa di importante». Questo vale per le email, ormai dilaganti, e a maggior ragione per gli Sms che creano una dipendenza più sottile. «Si risponde e ci si sente ricompensati per aver portato a termine un compito (anche se questo compito era del tutto sconosciuto a solo 15 secondi prima). Ognuno di questi Sms trasporta un “proiettile” di dopamina».

I topi lo hanno dimostrato molto bene. « In un famoso esperimento — sottolinea Levitin — , i miei colleghi della McGill Peter Milner e James Olds, entrambi neuroscienziati, hanno piazzato un piccolo elettrodo nel cervello dei topi, in una piccola struttura del sistema limbico chiamata nucleo accumbens. Tale struttura regola la produzione di dopamina ed è la regione che si “illumina” quando i giocatori d’azzardo vincono una scommessa, i tossicodipendenti prendono la cocaina, oppure quando si ha un orgasmo. Olds e Milner lo hanno chiamato il centro del piacere. Una leva nella gabbia permette ai topi di inviare un piccolo segnale elettrico direttamente ai loro nucleo accumbens. Ebbene ai topi piaceva a tal punto da non fare nient’altro. Hanno dimenticato del tutto di mangiare e dormire. Molto tempo dopo avevano fame e hanno ignorato il cibo gustoso in cambio della possibilità di premere quella piccola leva cromata; hanno anche ignorato il sesso. I ratti appena premuto la leva più e più volte, fino a che sono morti di fame e di stanchezza. Ci ricordano qualcosa? Un uomo di 30 anni è morto a Guangzhou (Cina) dopo aver giocato i videogiochi ininterrottamente per tre giorni . Un altro uomo è morto a Daegu (Corea) dopo aver giocato ai videogiochi quasi ininterrottamente per 50 ore, bloccato solo perché è andato in arresto cardiaco» .

Strumenti come Twitter o Facebook agiscono alla stessa maniera. «Ogni volta che inviamo una e-mail in un modo o nell’altro, proviamo un senso di realizzazione, e il nostro cervello riceve un pizzico di ormoni-i ricompensa che ci dicono abbiamo realizzato qualcosa — conclude Levitin — . Ogni volta che controlliamo un o “tweet” su Twitter o un aggiornamento di Facebook, incontriamo qualcosa di nuovo , ci sentiamo più connessi socialmente e otteniamo un’altra cucchiaiata di ormoni -ricompensa. Ma ricordate, è la parte muta e sempre affamata di novità del cervello che guida il sistema limbico, a indurre questa sensazione di piacere, non i centri del pensiero di livello superiore posti nella corteccia prefrontale. Non commettete errori: controllare email-, Facebook e Twitter costituisce una dipendenza neurale».

Tratto da Il Corriere Salute – Mercoledì 21 Gennaio 2015

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