Il lavoro: bisogno o desiderio?
Abbiamo bisogno di un oggetto, il pane, ad esempio, per placare la nostra fame, per soddisfare il nostro bisogno di mangiare, per riempire quel buco, quel “vuoto” nello stomaco. (Dolto, 1979, p.8)
Quando pensiamo al lavoro spesso lo associamo a un impegno, un’attività che ci dà i mezzi per sopravvivere: guadagniamo il denaro che ci permette di pagare l’affitto o il mutuo di casa, di fare la spesa e di comprare i beni di prima necessità.
Ma è solo questo? Uno strumento per la sopravvivenza, come lo era la caccia per gli uomini primitivi?
Spesso quando ci presentiamo lo facciamo attraverso la nostra professione “Ciao, mi chiamo Francesco e sono un barista” oppure “Buongiorno sono Sara e faccio la commercialista”, definendoci quindi attraverso il nostro lavoro. Possiamo dire che quello che facciamo contribuisce a costruire chi siamo, il nostro essere; quando lavoriamo facciamo nostre competenze e conoscenze e queste vanno a integrare e a dare forma alla nostra identità personale.
È allora qualcosa che ci tocca più nel profondo e viene da chiedersi: se vivo con insofferenza le ore che trascorro a lavoro come starò fuori? Vivo il lavoro con angoscia e l’arrivo del fine turno come la salvezza?
Non per tutti il lavoro è fonte di soddisfazione e gratificazione, ma lo si può percepire come un ambiente che non ci fa sentire valorizzati, in cui forse non ci sentiamo efficaci e che ci provoca insoddisfazione.
Diventa quindi importante fermarsi e concedersi del tempo per chiedersi “Perché sto male?”. È proprio partendo dalla ricerca del motivo che ci fa vivere il lavoro con sofferenza che possiamo cercare e capire dove vogliamo andare e cosa davvero vogliamo fare. È infatti necessario pro-gettare, gettare lo sguardo avanti verso la meta che si vuole raggiungere perché se si naviga a vista si rischia di andare a sbattere contro la scogliera.
In alcuni casi si può pensare di cambiare lavoro per allontanarsi dalla situazione di “pericolo”, ma può andare sempre bene? Forse no; infatti, nelle situazioni che percepiamo come stressanti uno dei sistemi neurali più antichi che si può attivare è quello che ci spinge a scappare per salvarci. Ma la vita moderna propone situazioni stressanti che possono durare anche a lungo, situazioni nelle quali la risposta rapida di attacco/fuga, che avevamo davanti a un leone nella Savana, non è più funzionale.
Non possiamo quindi affidarci a una reazione, ma dobbiamo costruire un’azione che ci permetta di vivere un benessere lavorativo. È possibile che questa azione non sia semplicemente “fuggire” dal lavoro attuale, ma cambiare il significato che noi attribuiamo al lavoro stesso, fatto di intenzioni, valori e aspettative.
Un uomo può sopravvivere nutrendosi di solo pane perché soddisfa il suo bisogno fisiologico, ma il fine ultimo dell’uomo non è la mera sopravvivenza.
Ma, ben presto, oltre al pane, abbiamo voglia di buon cibo, di vino, di una certa organizzazione del pasto, di una certa presenza, di conversazioni, “desideriamo” una “convivialità”: una comunicazione con altri intorno alla tavola.
Come vedete, passiamo dalla consumazione alla comunione. Passiamo dal bisogno di mangiare al desiderio di comunicare (Dolto, 1979, p.8).
Quando ci chiediamo “cosa desidero dal mio lavoro?” usciamo dalla sfera della necessità per entrare nella sfera della possibilità. Ecco che allora Francesco, che fa il barista, può desiderare che il suo lavoro sia un’occasione per fare due chiacchiere mentre i clienti bevono il caffè oppure per offrire un luogo nel quale sentirsi a casa quando si fa aperitivo con gli amici. Sara, invece, facendo la commercialista può desiderare di seguire le orme di suo padre e renderlo orgoglioso o può voler investire sulla carriera così da far crescere il suo status sociale. Se quindi viviamo il lavoro avendo individuato il motore che ci spinge ci sentiamo più intraprendenti e più propensi a sperimentare, mettendoci in gioco in prima persona.
Se invece siamo ancora in ricerca possiamo confrontarci con una figura esterna come lo psicologo, che ci può aiutare a riscoprire il lavoro come spazio nel quale sentirci realizzati e dove possiamo vivere relazioni positive con i colleghi, così da vivere la collaborazione e la proattività che sono elementi per la costruzione del benessere. Ecco che allora possiamo cambiare prospettiva e ci possiamo rendere conto che il lavoro resta una fonte di guadagno, ma quel denaro può diventare il mezzo che ci permette di andare in vacanza con la nostra famiglia o i nostri amici.
Passare da una visione del lavoro come bisogno a una visione di desidero non è immediato, così come quando si vuole sviluppare una fotografia analogica c’è bisogno di abilità, cura e tempo per permettere alle sfumature di emergere e dare forma all’immagine completa.
Per approfondimenti:
- Medina, J. (2022). Il cervello al lavoro. Istruzioni per pensare meglio in ufficio e a casa. Bollati Boringhieri.
- Dolto, F. (1979). La libertà d’amare. Milano: Rizzoli Editore.
- René Magritte (Lessins 1898 – Bruxelles 1967) Decalcomania 1966. Olio su tela, 81 x 100 cm
“DIREZIONE PSICOLOGIA: Una bussola per il quotidiano”
Vi è mai capitato di avere difficoltà a concentrarvi e a dormire poco e male, senza sapere il perché? Di rinunciare a qualcosa per paura di fallire? Di non sapere come comportarvi davanti ad un evento improvviso? A partire da episodi di vita quotidiana, in brevi articoli rifletteremo insieme, sempre accompagnati da riferimenti scientifici, su come funzioniamo, cosa proviamo e perché.
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